LA VOCE DEI PRECARI

Associazione Istruzione Unita Scuola
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mercoledì 10 settembre 2014

Riuscita la manifestazione dei precari che rischiano di scomparire dalle graduatorie

Il 10 settembre, oltre 2mila docenti, di varia estrazione hanno protestato davanti al Parlamento: se passano le linee guida così come sono state progettate rischiano di rimanere supplenti a vita (gli abilitati esclusi dalle GaE) oppure di dover cambiare lavoro (i non abilitati che non avranno più posto nella terza fascia, destinata alla cancellazione). Assenti i sindacati maggiori. Tra i politici sostegno solo dai ‘grillini’.

I precari esclusi dalle future assunzioni del Governo sono riusciti nell’intento di sensibilizzare media e opinione pubblica: il 10 settembre, oltre 2mila docenti, di varia estrazione, abilitati e non, hanno protestato davanti al Parlamento. La situazione riguarda almeno 100mila docenti abilitati a vario titolo all’insegnamento, oggi inseriti nella seconda fascia di istituto ma rimasti esclusi dalle Graduatorie ad esaurimento. E che in base al piano di riforma del Governo non rientrano in alcun piano di stabilizzazione: dopo l’assunzione prevista entro il mese di settembre 2015 di 150mila nuovi docenti, il 90 per cento dei quali scelti proprio dalle graduatorie ad esaurimento, le linee guida prevedono le future immissione in ruolo dei soli vincitori del concorso a cattedra.
Ad un certo punto, i manifestanti hanno tentato di muoversi lungo la piazza, ma sono presto stati respinti dalle forze dell’ordine. Non si sono arresi e hanno continuato a protestare con interventi ‘a braccio’, mostrando striscioni e alternando momenti all’insegna della musica dal vivo e dei cori di piazza.
In tanti si sono presentati all’appuntamento vestendo maglie da ‘precari’. E tanti erano anche i cartelli con sopra scritte la varie richieste: "Doppio titolo: TFA e sostegno, ma nella riforma dove siamo?', 'Abilitati con servizio in organico di diritto', 'Servizio prestato e concorso superato', 'PASsione Scuola'. Questi docenti, abilitati dopo il 2011, attraverso Tfa, Pas e pure superando il concorso ma solo come idonei, si trovano ora di Con loro non c’erano i sindacati maggiori (o almeno nella confusione non siamo riusciti a scorgerli). C’erano invece sicuramente diverse sigle che non siedono al tavolo delle trattative. Come il Mida, che ha organizzato la manifestazione. Tante le bandiere celesti del Conitp.
Folto pure il raggruppamento dell’Anief, capitanato dal suo presidente Marcello Pacifico, che ha parlato di docenti ‘invisibili’ perché esclusi prima della GaE e ora forse, almeno una parte, pure dalla graduatorie d’istituto: "come nel 2009 e nel 2011 – ha detto - anche stavolta siamo riusciti a farne inserire nelle GaE diverse centinaia. Altri 14mila aspettano la sentenza del tribunale. Ma molti di più attendono quella, ormai vicina, della Corte di Giustizia europea, sollecitata prima di tutti proprio dall’Anief quasi cinque anni fa, proprio per l'abuso dei contratti a termine: una 'tradizione' tutta italiana. Che ha da finire. La soluzione – ha concluso Pacifico - deve passare per via legislativa. Non è più possibile che per insegnare si debba continuare a ricorrere in tribunale”.
Del versante politico, sono venuti a parlare con i precari solo alcuni rappresentanti del Movimento 5 Stelle. ''oggi – hanno spiegato - abbiamo voluto far sentire la nostra vicinanza ai precari della scuola esclusi dalle graduatorie per entrare di ruolo, scesi in piazza per urlare la propria rabbia e disperazione contro un governo sordo e miope. Veri e propri supplenti a vita, che il governo sta totalmente ignorando”. E ancora: “siamo convinti che la strada da percorrere sia una sola: vanno stabilizzati. Parliamo di uomini e donne in possesso dell'abilitazione, che hanno investito tempo e soldi sulla loro formazione e che ora si ritrovano nel girone infernale dei precari di serie B, vittime di un'ingiustizia che il governo si ostina ad ignorare”.
Tra i manifestanti c’erano però anche dei non abilitati: quelli iscritti oggi nella terza fascia d’istituto. E che rischiano di uscire completamente dal panorama delle graduatorie: nella bozza di riforma del Governo c’è scritto, infatti, che le liste di attesa delle scuole saranno presto costituite solo dall’attuale seconda fascia. Per gli altri non rimarrebbe che giocarsi la “carta” del concorso.

lunedì 13 giugno 2011

I giovani precari diventeranno anziani bisognosi


By via safatti25.it
«Il sistema pensionistico introdotto nel 1995 penalizza le discontinuità di carriera e la limitata dinamica salariale»
di Vincenzo Galasso, direttore del Centro Dondena Bocconi di ricerca sulle dinamiche sociali
Il precariato che colpisce le giovani generazioni è sotto gli occhi di tutti. Su dieci persone che si affacciano al mercato del lavoro in Italia prima dei 30 anni, solo tre ottengono un lavoro a tempo indeterminato, le altre entrano con una delle oltre quaranta tipologie di contratto a tempo determinato esistenti.
E passare da un contratto a tempo determinato a uno a tempo indeterminato non è semplice: ogni anno riesce solo a poco più del 10% di giovani. Si rimane dunque a lungo in questo limbo, con un salario in media inferiore del 25% a quello dei più fortunati, senza sussidi di disoccupazione e con un percorso lavorativo accidentato, fatto anche di disoccupazione, magari accompagnata dal ritorno a casa dei genitori.
Ma forse non tutti sanno che il precariato lascia un’eredità pesante anche sul futuro delle giovani generazioni, un sigillo che li segue fino alla pensione. Anzi, proprio al termine della loro vita lavorativa, i giovani di oggi scopriranno di dover pagare ancora una volta il conto lasciato loro dai genitori. Le loro pensioni saranno molto meno generose di quelle dei loro padri, e dunque i giovani di oggi saranno verosimilmente forzati, non dalle leggi del parlamento ma da quelle dell’economia, ad andare in pensione più tardi, per potersi garantire un reddito previdenziale adeguato.
Per avere un’idea dell’impatto del precariato di oggi sulle pensioni di domani, consideriamo le carriere lavorative di due ipotetici giovani: Lorenzo e Pierpaolo.
Per le donne, il calcolo sarebbe ancora più impietoso, poiché, almeno in Italia, esse hanno carriere lavorative più discontinue e dunque pensioni tipicamente più basse degli uomini.
Lorenzo è un ragazzo fortunato: inizia a lavorare a 25 anni con un contratto a tempo indeterminato e uno salario mensile di 1.000 euro. Alla fine della sua carriera lavorativa, il suo salario reale supera i 2.000 euro. Se decidesse di andare in pensione a 60 anni, otterrebbe un beneficio previdenziale mensile reale compreso tra i 1.023 e 1.112 euro, con un tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e salario pre-pensionamento) attorno al 55%. Ma, ritardando a 67 anni l’uscita dal mercato del lavoro, la sua pensione reale mensile oscillerebbe attorno ai 1.600 euro, con un tasso di sostituzione dell’80%. Con 42 anni di contributi, Lorenzo otterrebbe dunque lo stesso trattamento previdenziale del padre (ovvero un tasso di sostituzione dell’80%), che di anni ne aveva lavorati 40.
A Pierpaolo le cose vanno meno bene: entra nel mercato del lavoro a 25 anni con un contratto temporaneo, che riesce a mantenere fino ai 28 anni. Per un anno è disoccupato, poi ottiene un lavoro a tempo determinato che tiene fino ai 32, quando si ritrova nuovamente disoccupato. A 33 anni l’ultimo contratto temporaneo che dopo due anni si trasforma in tempo indeterminato. Inoltre Pierpaolo ha un salario mensile di soli 800 euro, che rimane quasi costante, in termini reali, fino a quando ai 33 anni approda al contratto a tempo indeterminato. Alla fine della sua carriera lavorativa, il suo salario reale mensile supera di poco i 1.300 euro. Le difficoltà di inserimento di Pierpaolo hanno dunque segnato la sua carriera lavorativa. Il suo salario reale finale è solo del 62,5% più alto di quello iniziale. Il salario di Lorenzo è invece raddoppiato. Con un sistema previdenziale a contributi definiti, come quello introdotto in Italia dalla riforma Dini del 1995, una carriera lavorativa discontinua e una scarsa crescita salariale si riflettono fortemente sui benefici previdenziali. Se andasse in pensione a 60 anni (come suo padre), Pierpaolo percepirebbe un assegno mensile reale compreso tra i 638 e i 690 euro. È solo lavorando fino a 67 anni che Pierpaolo potrebbe ottenere una pensione mensile reale attorno ai 1.000 euro.
Al momento dunque ai giovani di oggi non rimane che puntare su un forte aumento della longevità che consenta loro di posticipare la pensione e di continuare a lavorare. Tuttavia, una riduzione del dualismo sul mercato del lavoro, ad esempio attraverso l’introduzione di un contratto unico che riduca le differenze tra contratti temporanei e permanenti, consentirebbe ai giovani un migliore inizio della loro vita lavorativa e una vecchiaia più serena.