
Cosa è cambiato dopo il Decreto Dignità nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo: contestazione, conciliazione, indennità risarcitorie e differenze rispetto al Jobs Act.
17 Dicembre 2019Il
Decreto Dignità, il Jobs Act e prima ancora la Riforma Fornero (legge n.
92/2012) hanno profondamente modificato il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, quando dettato da motivi economici.
Alla base restano le ragioni
di riorganizzazione aziendale che portano a una riduzione
del personale (tra le motivazioni applicabili, invece, non rientra la
condotta del lavoratore): in ogni caso spetta al giudice verificare che il
licenziamento costituisca l’ultima opzione in capo al datore di
lavoro, che non ha altre possibilità di reimpiegare il lavoratore (repechage).
Contestazione
Il datore di lavoro deve
comunicare il licenziamento al lavoratore indicando le ragioni.
Per i lavoratori assunti con
il contratto a tutele crescenti (introdotto dal Jobs Act a partire dal 7 marzo
2015), il datore di lavoro può proporre una conciliazione in
sede protetta (INL, sindacato, commissione di certificazione) entro 60 giorni
dalla comunicazione del licenziamento, proponendo un risarcimento economico da
pagare con assegno circolare o altra forma di accordo prevista dalla legge.
A prescindere dalle tutele
crescenti, se il lavoratore ritiene che la decisione sia ingiusta può procedere
con la contestazione, impugnando il licenziamento entro 60
giorni dalla comunicazione, inviando lettera raccomandata anche
al datore. Nei successivi 180 giorni (non oltre, pena
l’inefficacia dell’impugnazione) dovrà procedere al deposito del ricorso
e alla richiesta al datore di lavoro di un tentativo di conciliazione.
Numero e importo indennità
Quando il licenziamento per
motivi economici è dichiarato illegittimo da parte del Giudice
scattano le sanzioni in capo al datore di lavoro, sulle quali
è intervenuto il Legislatore. In particolare, la legge di conversione del
Decreto Dignità (legge n. 96/2018) ha previsto una rimodulazione dell’indennità risarcitoria
in caso di verifica, da parte di licenziamento illegittimo di lavoratori a
tempo indeterminato (articolo 3, comma 1, Decreto Legislativo n. 23/2015)
e della conciliazione proposta dal datore di lavoro (articolo
6 dello stesso decreto).
L’indennità a titolo
di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo va dalle
6 alle 36 mensilità pari dell’ultima retribuzione di riferimento per
il calcolo del TFR, anche se assunto da meno di 3 anni (con il Jobs Act
andavano da 4 e 24). L’importo annuale rimane fisso ad una o due
mensilità ogni anno di servizio. Più in particolare:
- da 6 a 36 mensilità per
aziende oltre i 15 dipendenti (articolo 18, commi 8 e 9, dello Statuto dei
Lavoratori)
- da 3 e 6 mensilità per
aziende sotto i 16 dipendenti.
L’indennità non è
prevede contribuzione previdenziale (le frazioni di anno
d’anzianità di servizio e le indennità sono riproporzionate, tenendo a mente
che le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni si computano come mese
intero).
NB:
Per i licenziamenti illegittimi di natura disciplinare, l’importo è variabile
in base al tipo di conciliazione e l’indennità è pari a 2 mensilità per ogni
anno di servizio. In ogni caso, non si può andare oltre le 12
mensilità.Per i licenziamenti discriminatori o nulli non c’è indennità perché
scatta la reintegra.
Revoca licenziamento
Per evitare impugnazione e
indennità, il datore può procedere alla revoca del licenziamento entro
15 giorni dalla comunicazione della contestazione da parte del lavoratore,
offrendogli alternativamente una somma, modificata dal Decreto Dignità nella
seguente misura:
- pari a una mensilità per ogni anno di
servizio;
- tra 3 e 27 mensilità per aziende oltre
15 dipendenti
- tra 1,5 e 6 mensilità per aziende sotto
i 16 dipendenti.
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