LA VOCE DEI PRECARI

Associazione Istruzione Unita Scuola

domenica 12 gennaio 2020

Più Stato non aiuta la crescita




Il guaio vero è che mentre per noi la crisi continua, nel resto del mondo sta forse per arrivare la fine di un ciclo che per gli altri è stato positivo.


Sarebbe bello iniziare il nuovo anno con l’ottimismo e le speranze che fanno parte del repertorio degli auguri che ci scambiamo alla mezzanotte di San Silvestro, ma il 2020 non si presenta con un profilo favorevole. Esserne consapevoli è già qualcosa, perché ingannare se stessi non farebbe un buon servizio al Paese.
I dati disponibili sono molteplici, ma possiamo limitarci a due soltanto. Il più angosciante a noi sembra quello della produttività, che è ferma da 20 anni. E’ l’indicatore decisivo della nostra stasi.
Dentro la produttività c’è tutto quel che serve. Senza produttività non salgono i salari reali, non cresce la competizione delle nostre imprese, e tutto si scarica sullo Stato, a cui infatti si tende ad aggrapparsi di nuovo. Lo Stato nel Monte dei Paschi, lo Stato all’Ilva, lo Stato all’Alitalia, lo Stato nelle 160 crisi aziendali. Lo Stato che piace ad una classe politica debole che pensa di rinforzarsi acquisendo più potere di controllo interno, anzichè occupare lo spazio lasciato dalla Brexit e darsi una politica estera da protagonisti, almeno sulla Libia.
Quanto poi al Pil, possiamo anche considerarlo un criterio vecchio rispetti ad altri indici di benessere reale, ma ha ancora un senso, se non altro quello della comparazione internazionale. La tabella commentata nei giorni scorsi da Federico Fubini sul Corriere è davvero scoraggiante. Siamo all’ultimo posto nel recupero della crescita dal momento più profondo della crisi, che per noi è stato il 2013. La derelitta Grecia è cresciuta il doppio, e i Paesi che stanno attorno o sopra il 10%, cioè sopra il recupero di quanto perduto, sono tutti quelli paragonabili al nostro. Lasciamo stare gli Stati Uniti del 22% e la Svezia del 27%, ma la Germania è salita del 16,6% e la Francia dell’11,3%. Noi, ripetiamo, abbiamo ripreso il 4% e questo significa tagli al nostro tenore di vita, ai nostri risparmi e soprattutto ai nostri progetti individuali e famigliari.
Per forza, non si può crescere dello zero virgola quando va bene (unica eccezione il +1,7 del 2016, ma dato che si tratta del governo Renzi, si rischia un’accusa di partigianeria), e anche quest’anno ci viene promesso uno 0,6% che difficilmente raggiungeremo.
Quel che serve è una svolta nelle riforme vere (noi pensiamo alla riduzione dei parlamentari…) ma quello che vediamo è ancora mancanza di coraggio e un’analisi fuorviante. Prendiamo la questione tasse. Non c’è giorno in cui non si denunci la loro crescita. Eppure il dato oggettivo è un -0,1% di pressione fiscale, anche al netto dei 23 miliardi di Iva non scattata. La narrazione populista ma anche quella anti populista paralizzano la questione. Una rimodulazione dell’IVA non sarebbe stata uno scandalo, ma nessuno ci prova, in un clima da elezioni imminenti. Arriviamo ad azzardare che non sarebbe scandalosa una crescita fiscale, compensata da una crescita economica, se solo fosse finalizzata a obiettivi che realmente riguardino le due questioni da cui siamo partiti: Pil e produttività. Nella manovra sono per fortuna restate alcune delle norme su industria 4.0, ma sembrano astrazioni da addetti ai lavori. Non rendono elettoralmente, comunque. Vuoi mettere un bel talk show sull’immigrazione, anche se il tema è ormai fuori dal qualunque emergenza?
Torna piuttosto una voglia di statalizzazione che è esattamente il contrario di ciò che ha consentito agli altri Paesi di ritornare a galla. Tutto è possibile, del resto. Se Conte viene definito il miglior leader progressista, se nel PD la leadership è condizionata tra le quinte da un Bettini che nessuno conosce ma è quello che detta la strategia, se il più grande gruppo parlamentare è senza guida e ancora alle prese con deprimenti questioni di scontrini da rimborsare, ultima spiaggia dell’antipolitica, come può una grande potenza economica affrontare questioni che fanno tremare i polsi ad un Macron e provocano il declino di una Merkel?
Il guaio vero è che mentre per noi la crisi continua, nel resto del mondo sta forse per arrivare la fine di un ciclo che per gli altri è stato positivo. Se la crescita mondiale tornerà in affanno, cosa accadrà ad un’Italia che dall'affanno non riesce mai ad uscire?Beppe Facchetti
LINK http://www.pensalibero.it/piu-stato-non-aiuta-la-crescita/

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