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lunedì 20 gennaio 2020

Leggere come raccogliere e altre 99 storie: il nuovo libro di Marcolongo è un viaggio all’origine delle parole. Per dare anche un nome alle emozioni

La parola libertà, invece, dal latino libertaseleuthería in greco, risale ad un’antichissima radice indoeuropea *leudhero-, ovvero colui che ha il diritto di appartenere a un popolo o felicità, dal latino felix, deriva dalla stessa radice verbale indoeuropea *fe- di fecundus, che significa fertile, produttivo perché quando si è felici ci si vuole circondare di attività stimolanti che ci trasmettano benessere e voglia di fare.


"Alla fonte delle parole" è una raccolta - a esclusivo gusto personale - di 99 etimologie selezionate dall'autrice della "Lingua geniale". Così possiamo scoprire la radice di "libertà" e "felicità", riuscendo a dare il peso specifico autentico ai vocaboli che usiamo. E così anche a usufruire della libertà di esprimere noi stessi
di Stefania Massari | 20 GENNAIO 2020
Verbi, aggettivi, sostantivi: 99 vocaboli da scoprire, dalle loro origini alla loro evoluzione nel corso dei secoli. E’ l’affascinante viaggio alla ricerca del significato originario delle parole per decifrare la realtà che ci circonda dentro Alla fonte delle parole. 99 etimologie che ci parlano di noi (Mondadori, 288 pagg, 18 euro), il nuovo lavoro di Andrea Marcolongo, che già ci aveva fatto appassionare alla Lingua geniale (il greco) e a La misura eroica, il mitico viaggio degli Argonauti. Il criterio utilizzato dall’autrice per selezionare i 99 lemmi è essenzialmente uno: il suo gusto personale. A dimostrazione del fatto che i lettori non troveranno un preciso ordine alfabetico da seguire, ma potranno iniziare a leggere gli etimi a seconda della curiosità che proveranno in quel momento.

Nominare la realtà significa sottrarsi alla confusione. Un atto, questo, innanzitutto intellettuale perché prima ancora di tradurla in parole è nel pensiero che essa prende forma e consistenza. Non a caso, nell’incipit Marcolongo cita la scrittrice Elena Ferrante che nell’Invenzione occasionale scrive: “Le parole, la grammatica, la sintassi sono uno scalpello che scolpisce il pensiero”. E sempre nell’incipit cita lo studio dell’antropologo Robert Levy condotto a Tahiti. Quale poteva essere il motivo alla base del numero spropositato di suicidi che si verificavano tra i suoi abitanti? Levy scoprì che nella lingua tahitiana mancavano parole per esprimere il dolore. Questo portava uomini e donne a togliersi la vita. Allora ecco spiegata l’importanza di recuperare i significati originari delle parole che ci permettono di usufruire della libertà di esprimere noi stessi.
Ad esempio, il verbo leggere deriva dalla radice indoeuropea *lag- presto diventata panromanza e non solo. In greco antico, si traduceva nel verbo λέγω (légo), che rimandava al latino legere, che significava sia “raccogliere“, sia “scegliere“, sia “raccontare” o “dire“. I francesi dicono lire, gli spagnoli leer, i portoghesi lêr, i tedeschi lesen, i lituani lèsti che significava letteralmente “raccogliere con il becco“. Proprio come fanno i lettori, quando si recano in una libreria, che con la vista acuta come quello di un falco, si fiondano fra gli scaffali per accaparrarsi il libro che hanno scelto.
Oppure fiducia, dal latino fides, contiene una radice che rimanda alla fedeFidarsi di qualcuno, infatti, è un impegno grandissimo. Nel Medioevo si usava il termine fidanza, da cui deriva anche la parola fidanzato ed essere fidanzati infatti è un impegno solenne, proprio come lo erano i Promessi Sposi manzoniani perché la fiducia richiede una cura costante per non deludere chi ti sta vicino.
La parola libertà, invece, dal latino libertaseleuthería in greco, risale ad un’antichissima radice indoeuropea *leudhero-, ovvero colui che ha il diritto di appartenere a un popolo o felicità, dal latino felix, deriva dalla stessa radice verbale indoeuropea *fe- di fecundus, che significa fertile, produttivo perché quando si è felici ci si vuole circondare di attività stimolanti che ci trasmettano benessere e voglia di fare.
Come si può notare da questi esempi, la scrittrice cita spesso i popoli indoeuropei perché ebbero il coraggio di coniare la radice delle parole che non esprimeva tanto un suono percepito all’esterno, quanto il loro proprio sentire.
Il libro, quindi, si propone di essere una guida per arricchire la nostra conoscenza e per dare un senso a ciò che diciamo perché le parole hanno un peso specifico e farne un uso improprio significherebbe condurre il nostro pensiero verso una realtà distorta dove odio e pregiudizio avrebbero la meglio e Andrea Marcolongo è riuscita, ancora una volta, grazie alla sua sensibilità e profonda dedizione nei confronti del sapere, a tenderci una mano per non sentirci smarriti dinanzi ai vuoti che non ci permettono di dare un nome alle emozioni che proviamo e per trovare la strada maestra che ci porti a fare chiarezza e ordine dentro noi stessi affinché il caos non prenda il sopravvento.
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